martedì 30 novembre 2010

Esto es teatro

Stamattina ho lo stesso nervosimo frustrato mostrato da Sergio Ramos ieri sera.
Apro il frigo, verso il succo d'arancia nel bicchiere e con mia grande sorpresa mi accorgo che fa cagare. Varei potuto prenderne un altro, ma sono andato al risparmio e me lo piglio in saccoccia.
Mi vesto ma non sono soddisfatto. Sti pantaloni fanno cagare, ho solo un paio di scarpe. La felpa è sgualcita. Dovrei uscire a infoltire il guiardaroba, ma chi ne ha voglia?
Arrivo a scuola e qualcuno mi mostra sta manita del cazzo. "Mi hanno detto che hai simpatie madridiste..." "Godo per Mourinho". Qualcuno mi sorride e basta e vorresti gettragli in faccia dell'acido e lavargli via quello sorriso del cazzo e magari insinuare qualcosa sui gusti sessuali della madre. Potrei negare e dire che preferisco il Barcellona, o addirittura tifare per il Barcellona.
Durante la rassegna stampa due compagni di corso amoreggiano sì giolivi, mentre apprendo che Monicelli si è lanciato ieri notte dal quinto piano.
"Ognuno sceglie di vivere a modo suo", sento dire nello stesso momento in cui affondo il naso nella Stampa.
Non considero un genio chi lo ha appena detto, ma in fondo ha ragione. Tutti hanno ragione, a loro modo. Che cazzo senso ha lamentarsi, se questa è la parte che ho scelto di recitare? Sapevo bene che quel succo avrebbe fatto cagare, però l'ho comprato. So bene che ho pochi vestiti qui e ora e dovrei prenderne altre, eppure non lo faccio. Mourinho ha provocato ("Messi è un teatrante") e al Camp Nou lo hanno deriso ("Esto es teatro"). Lo sapeva bene che se lo sarebbero mangiato se avesse perso, ma lo ha fatto lo stesso. Monicelli si era evidentemente rotto i coglioni e si è tolto di mezzo. E c'è chi è fortunato e cambia rotta. Si tratta sempre e comunque di scegliere, anche quando prosegui per la tua strada, fatta di ambizioni lavorativi e sostanziale immobilismo su quell'altro versante. Si tratta di aspettare e scegliere. Ma di che cazzo mi lamento? Ho scelto così.
Mi sa che mi sento più come Puyol, stamattina.

venerdì 26 novembre 2010

Intermittenze

Stamattina mi sveglio con la solita allegria che potrei esibire ad un convegno di becchini e sento provenire, dalla strada, meno rumore del solito. Cammino lento verso la cucina e la vedo, la neve. Cazzo, il meteo aveva ragione. Dopo il rito del bagno, dovrei sedermi per fare colazione, ma mi concedo qualche minuto di pausa. Resto in piedi, davanti alla finestra, a guardarla. Capisco subito che qualcosa non quadra. Ma quando ho visto la neve per la prima volta? Minchia, non me lo ricordo. Non riesco a farer riemergere il momento esatto. E il fatto che sia passato tanto tempo rappresenta solo una banale scusa. Perchè è stato da bambino, almeno questo è certo. Succedeva quando avevo circa sette anni, stavo a Marina. Ma continuo a non ricordare quel momento esatto del cazzo, con annessi e connessi. Vorrei ricordarmi l'entusiasmo, la sorpresa, la voglia di uscire e prendere i fiocchi con la lingua. Il problema non è il tempo passato, ovvero la distanza temporale, ma quello che è successo nel frattempo.
Ieri sera ho aperto lo sgabuzzino per prendere una bottiglia d'acqua. Me n'ero quasi dimenticato, di quell'altra bottiglia. Se ne sta lì, in un angolo. Una bottiglia di Corvo, una piccola sciccheria per una serata semplice ma speciale. Lo ricordo ancora, il tuo orrendo silenzio, quando ti dissi 'ma si, meglio se vieni giovedì, è il nostro mesiversario'. Eppure la bottiglia la comprai lo stesso. Non avevo capito un cazzo, come al solito.
Non tutte le situazioni o gli oggetti attivano ricordi immediati. Come se il nostro cervello funzionasse ad intermittenza. Quel bambino non esiste più da tanto tempo: in mezzo, troppa cattiveria, troppo odio, troppe colpe date agli altri, troope persone allontanate e non capite. Troppi ricordi vista da una sola prospettiva. Troppi errori.
Non ha senso dire: 'voglio tornare ad essere quel bambino' eccetera. I tempi, le responsabilità te lo impediscono. Però un po' quella ingenuità non guasterebbe. Non ho più voglia di riguardare certi oggetti, o situazioni, e pensare qualcosa del tipo 'vaffanculo'. Non ho più voglia di guastarmi le giornate ed intristirmi. Non mi voglio più mettere davanti a tutto. Forse questa è una delle pagine più difficile da aggiungere e riempire.

giovedì 25 novembre 2010

Altà fedeltà

Da quando mi vedo costretto ad alzarmi alle 7.15 del mattino (si, è incredibile: le 7 del mattino esistono, ora ne ho le prove), mi sono reso conto che il mio cervello, in quel lasso di tempo tra la sveglia e l'attimo in cui infilo la chiave nella toppa, se na va un po' per i cazzi suoi. Stamattina in regia hanno deciso che oggi era il giorno giusto per cominciare un nuovo esperimento: leggere un libro in metro. Mi sono così sorpreso ad infilare la copia di Alta fedeltà nella mia già traboccante borsa. Mentre mi incammino verso la metro, ancora provato dall'accoppiata familiare di Moretti gelata-panzerotto untissimo ingollati ieri sera dal Pres, mi domando chi cazzo me l'abbia fatto fare. Sul treno, così come su qualsiasi mezzo di trasporto, mi sono sempre scoperto capace di fare solo due cose: ascoltare musica e leggere sì, ma i quotidiani (principalmente la Gazza; segue a ruota il Corriere). Leggere un romanzo presuppone una buona dose di concentrazione e io becco sempre bambini ruomorosi o gente alquanto loquace al cellulare. Però ormai è deciso. Le spiegazioni credo siano due. Uno: cambiare abitudini non fa male. Due: il mio lettore mp3 sta esaurendo la carica. Cioè, mentre andavo in bagno, ingrassavo il mio panino mattutino con della marmellata e mi vestivo, il mio cervello ha elaborato questa cosa: che bisognava creare una valida alternativa al lettore quasi scarico. Considerato che un uomo non riesce a fare due cose contemporaneamente (e che io sono un uomo, almeno sessualmente parlando), questa per me è una bella conquista. Non solo, ma le mie sinapsi mi fanno uscire di casa qualche minuto prima del solito, così magari evito il treno intasato delle 8.15 e posso addirittura sedermi. Leggere in piedi sarebbe stato chiedere troppo, sarei potuto svenire per l'immane sforzo. Ovviamente il treno è intasato, così le cuffie del lettore si muovono da sole verso le mie orecchie.
Esattamente due mesi fa eravamo assieme, in un placido sabato mattina. Nonostante mi avessi appena rivelato i tuoi dubbi, ce ne stavamo lì abbracciati. Chissà cosa mi ero messo in testa.
Siamo già al Duomo e come previsto la metro si svuota. Mi fiondo su un posto libero, bruciando sul tempo un tizio. Caccio fuori il libro, rassegnato all'idea che non riuscirò a leggere più di una pagina. O che mi distrarrò e finirò a Sesto Rondò. Invece mi stupisco e riesco a leggerne cinque, di pagine, azzeccando la fermata giusta.
Sono queste le cose che ti fanno capire che ci stai provando di brutto.

mercoledì 24 novembre 2010

Dice che cominciare con un funerale porta bene

Per la terza volta nella mia vita, mi ritrovo ad aprire un blog. I primi due, obiettivamente, facevano ampiamente cagare. Come noterete, non risparmierò i francesismi barocchi. Dunque, sui questi primi due tentativi ho speso anche del tempo, ma poi vedevo che le cose non giravano. Spendevo tempo a vuoto. I post erano scollegati l'uno dall'altro, mancava coerenza. Quest'ultimo sembra promettere benino. Sarà perchè chi scrive (adoro parlare di me in terza persona, talvolta) sta attraversando un periodo di passaggio. Nuova città, nuova vita, ma stessi sogni. Quel passaggio che molti chiamano 'morte', nel senso di rinnovo, di abbandono di una vecchia vita per una nuova. Migliore? Speriamo. Quando cominciai a lavorare per il Carlino, come primo articolo mi fu assegnata la cronaca di un funerale. Davanti alla mia faccia poco convinta e buttando un occhio alla mia mano a conchiglia sul pacco, il mio capo mi diede ampie rassicurazioni: 'va là, che iniziare con un funerale porta bene'. All'epoca non rimasi molto convinto, ma da quel giorno di metà gennaio sono passati tanti giorni e tante cose sono successe. Non voglio voltare pagina, perchè l'ho fatto già tante volte e dopo un po' il libro finisce. Voglio aggiungere nuove pagine. Anche in formato elettronico.