lunedì 20 dicembre 2010

Torniamo subito.

Sapevatelo va in vacanza. Speriamo di potervi allietare con un post prima di capodanno. Nel frattempo, buon Natale a tutti. Tranne che a Benitez.

mercoledì 15 dicembre 2010

La controinformazione della Tobagi è finalmente arrivata

'MM, ovvero MarmellataMediatica, è il blog ufficiale del Master in Giornalismo dell'Università di Milano, in provincia di Macerata. Raccoglie su di sè l'eredità di uno dei maggiori giornalisti del nostro paese: Bruno Batosta. Devoto di Odino, dannunziano, criptofascista e dopo la caduta del muro di casa sua, storpio, Bruno Batosta è oggi un lucido esempio di inutile resistenza all'alcol e alle droghe pesanti. A lui oggi vogliamo dedicare la nostra passione per la comunicazione giornalistica e rendergli onore colpendoci vicendevolmente le ugole con stuzzicadenti affilati su binari arrugginiti delle Ferrovie dello Stato'.

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martedì 14 dicembre 2010

Purtugau - seconda puntata (dai, lo so che l'aspettavate con ansia)

E invece Gabriele si rivela una piacevole sorpresa. Venrdì pomeriggio, mentre siamo in giro, entriamo in Rua Da Pena Ventosa. "Come quella che subirai tu stanotte", mi fa con un ghigno. Merda. Anzi, no. Gabriele non peta, non rutta, non si scaccola o si ravana il culo con una pala da neve mentre siamo a letto. Ecco, il letto: matrimoniale. Lo dividiamo senza problemi, nonostante le nostre fattezze non proprio minute (si aggiunga che sembra il letto dei sette nani).
 La stanza però è fredda. La cosa mi fa - diciamo così - indispettire e considerato che ancora non so che Gabriele si comporterà bene, non si prospetta una gran nottata. Così vado in reception. Se la tipa sbaglia un solo altro ausiliare, le dò fuoco per scaldare la stanza. Al suo posto invece c'è un tizio. Completamente pazzo. Barba semi incolta, capelli spettinati, occhi spiritati. Un pianerottolo sfasciato in bocca. Chiedo se è possibile fare qualcosa per il freddo, ormai rassegnato all'idea di morire assiderato. Il tizio si lancia in una disamina del meteo del nord del Portogallo, parlando una sorta di esperanto inventato sul momento e fatto di portoghese, spagnolo (argh) e italiano. Mi spiega che non ha mai fatto così freddo a dicembre, che di solito qui ci sono 15 gradi. Bum! Nessun accenno su come scaldare la stanza 105. La cosa incredibile è che quando parla, urla. Ho le orecchie schiantate, così vado dalla vecchia che sta lì al bar dell'ostello. I portoghesi sono incredibili: ci mettono la flemma dappertutto. Le chiedo una cazzo di stufa. "Siiii...prima vado a mangiare, poi vedo se ce n'è una". Torno dal pazzo, che me la procura. Ma la flemma lusitana mi resta in testa, mentre mi infilo a letto. Ripenso al pranzo. Bacalhau in una taverna sul Douro, quasi sotto al ponte di ferro. Il tizio è gentilissimo, ci dice che il pesce fresco c'è per tutti, anche se poi non è vero e alcuni devono virare su altro. Ma mica ti incazzi, sembra capace di esaudire ogni tuo desiderio gastronomico. Un uomo meraviglioso, tranquillo, educato. Mangiamo da Dio, ci offre pure un liquorino. Paghiamo una miseria e vorrei abbracciarlo per un'ora. O come il bilgiettaio dei pullman per Lisbona. Andiamo a chiedere quanto costa il biglietto.
"Do you speak english?"
Ho qualche reminescenza di portoghese dal viaggio in Brasile, ma non mi arrischio.
"Yeeees". Per la serie: se insisti, mi adeguo.
"How much is the ticket for Lisboa?"
"Dezoito"

lunedì 13 dicembre 2010

Dieci. Anzi, nove.

Corriere.it ha di recente la nciato un sondaggio: descrivete il vostro 2010 in dieci parole.
Domanda da filosofo da quattro soldi: si può condensare un anno in dieci parole? Tempo fa ero stato colto dalla sindrome di Alta fedeltà. Facevo la classifica di qualsiasi cosa. Poi la cosa mi era passata, ma adesso mi ritrovo a farci conti.
Orsù, proviamoci.

Lavoro
Lontananza
Lacrime
Esami
Nostalgia
Indecisioni
Telefono
Milano
Navigli

Ne ho messe 9, se non ho contato male. Non è stato un anno facile, ma ho imparato un sacco. Vorrei chiudere in bellezza, se fosse possibile. Nel caso non trovassi l'happy ending, avrò imparato una cosa di più.

venerdì 10 dicembre 2010

Purtugau - prima puntata

Dunque, Portogallo.
Vivere a Milano mi sta costringendo a svegliarmi ad orari antelucani, come ho già avuto modo di chiarire. Ma in fondo me le cerco. Venerdì mattina la levata è alle 5. C'è un autobus da prendere con pendolari assonati, direzione Cadorna. Da lì Malpensa, quindi Porto. Con Giourgio e Pietro bastano pochi sguardi con gli occhi a fessura per capirci. Non ho molta voglia di parlare. Il ricchione (Giorgio) mi ricorda che la sera c'è Lazio-Inter. Vabbè, sti cazzi. Si parte con i nuovi propositi formato-vacanza. 1.Lasciar perdere il calcio italiano mentre sono via; 2.lasciar perdere Facebook; 3.lasciar perdere un po' tutto: in fondo, si sa, l'acqua di mare aiuta a cicatrizzare le ferite e il Portogallo si affaccia sull'Oceano.

"Vaffanculo, che città di merda!".
Gabriele fa il suo esordio sulla scena. Più che altro, il suo ingresso sul treno per l'aereoporto è una vera e propria irruzione. Lo sento sbuffare e smoccolare già mentre è lì che si affanna sul binario. Arriva di corsa da casa sua, in zona S.Babila. Se l'è fatta a piedi. Poi si chiude in bagno. In tutto il viaggio, manterrà una media di frequenza delle latrine di due ore. "la vita è tutto un entrare e un uscire", arriverà a sentenziare a Lisbona, con un bel carico di doppi sensi. Ricordo ancora il suo aneddoto sul verme solitario. Merda, spero di non capitare con lui in camera. Arriva anche Sangalli, in orario (incredibile), mentre Cinzia e Arcangelo sono in ritardo (fantascientifico) e pigliano il treno dopo.

Partiamo e arriviamo in orario. La prima impressione è quella di una realtà ovattata, compassata, moderna e funzionale. I due ricchioni (uno lo conoscete già, l'altro è Pietro, che in un lampo decido di ribattezzare Brunettu) sono stati costretti ad imbarcare i bagagli, che arrivano con una puntualità da infarto. Incrocio un tizio francese che ha avuto problemi con il suo, di bagaglio. Un impiegato dell'aereoporto gli spiega il da farsi, con calma e in un buon francese.
Per raggiungere l'ostello, in centro, prendiamo la metro, residuo delle grandi opere per Euro 2004. Il treno passa accanto alle case dei contadini. Sfiora silenzioso i recinti delle galline. Arriviamo alla nostra stazione, Bolhao. Le stazioni sono bellissime. Colori tenui, pareti a mosaico, nessuna calca per salire e scendere dai vagoni. E poi i nomi delle stazioni: Heroismo, Senhor dos Matosinhos, Estadio do Dragao. Io da due mesi tutte le mattine passo da fermate come Bande Nere e Precotto.
Arriviamo all'ostello. Non è il Ritz, ma a noi zozzoni della cultura basta e avanza. La tizia alla recepition è carina e disponibile. Si sforza di parlarci in un buon italiano. Pessima scelta, di fronte a gente tutta laureata in corsi di Lettere. All'inizio ci mostriamo indulgenti, ma all'ennesimo ausiliare sbagliato la aggrediamo. Lei sorride e vabbè, la perdoniamo.
Scatta l'assegnazione delle camere. Siamo in 6 da distribuire in 3 camere matrimoniali. Brunettu lancia l'idea del secolo: estrazione tramite tessere dell'atm.
Capito in stanza con Gabriele.
Principio sì giolivo, ben conduce.

martedì 30 novembre 2010

Esto es teatro

Stamattina ho lo stesso nervosimo frustrato mostrato da Sergio Ramos ieri sera.
Apro il frigo, verso il succo d'arancia nel bicchiere e con mia grande sorpresa mi accorgo che fa cagare. Varei potuto prenderne un altro, ma sono andato al risparmio e me lo piglio in saccoccia.
Mi vesto ma non sono soddisfatto. Sti pantaloni fanno cagare, ho solo un paio di scarpe. La felpa è sgualcita. Dovrei uscire a infoltire il guiardaroba, ma chi ne ha voglia?
Arrivo a scuola e qualcuno mi mostra sta manita del cazzo. "Mi hanno detto che hai simpatie madridiste..." "Godo per Mourinho". Qualcuno mi sorride e basta e vorresti gettragli in faccia dell'acido e lavargli via quello sorriso del cazzo e magari insinuare qualcosa sui gusti sessuali della madre. Potrei negare e dire che preferisco il Barcellona, o addirittura tifare per il Barcellona.
Durante la rassegna stampa due compagni di corso amoreggiano sì giolivi, mentre apprendo che Monicelli si è lanciato ieri notte dal quinto piano.
"Ognuno sceglie di vivere a modo suo", sento dire nello stesso momento in cui affondo il naso nella Stampa.
Non considero un genio chi lo ha appena detto, ma in fondo ha ragione. Tutti hanno ragione, a loro modo. Che cazzo senso ha lamentarsi, se questa è la parte che ho scelto di recitare? Sapevo bene che quel succo avrebbe fatto cagare, però l'ho comprato. So bene che ho pochi vestiti qui e ora e dovrei prenderne altre, eppure non lo faccio. Mourinho ha provocato ("Messi è un teatrante") e al Camp Nou lo hanno deriso ("Esto es teatro"). Lo sapeva bene che se lo sarebbero mangiato se avesse perso, ma lo ha fatto lo stesso. Monicelli si era evidentemente rotto i coglioni e si è tolto di mezzo. E c'è chi è fortunato e cambia rotta. Si tratta sempre e comunque di scegliere, anche quando prosegui per la tua strada, fatta di ambizioni lavorativi e sostanziale immobilismo su quell'altro versante. Si tratta di aspettare e scegliere. Ma di che cazzo mi lamento? Ho scelto così.
Mi sa che mi sento più come Puyol, stamattina.

venerdì 26 novembre 2010

Intermittenze

Stamattina mi sveglio con la solita allegria che potrei esibire ad un convegno di becchini e sento provenire, dalla strada, meno rumore del solito. Cammino lento verso la cucina e la vedo, la neve. Cazzo, il meteo aveva ragione. Dopo il rito del bagno, dovrei sedermi per fare colazione, ma mi concedo qualche minuto di pausa. Resto in piedi, davanti alla finestra, a guardarla. Capisco subito che qualcosa non quadra. Ma quando ho visto la neve per la prima volta? Minchia, non me lo ricordo. Non riesco a farer riemergere il momento esatto. E il fatto che sia passato tanto tempo rappresenta solo una banale scusa. Perchè è stato da bambino, almeno questo è certo. Succedeva quando avevo circa sette anni, stavo a Marina. Ma continuo a non ricordare quel momento esatto del cazzo, con annessi e connessi. Vorrei ricordarmi l'entusiasmo, la sorpresa, la voglia di uscire e prendere i fiocchi con la lingua. Il problema non è il tempo passato, ovvero la distanza temporale, ma quello che è successo nel frattempo.
Ieri sera ho aperto lo sgabuzzino per prendere una bottiglia d'acqua. Me n'ero quasi dimenticato, di quell'altra bottiglia. Se ne sta lì, in un angolo. Una bottiglia di Corvo, una piccola sciccheria per una serata semplice ma speciale. Lo ricordo ancora, il tuo orrendo silenzio, quando ti dissi 'ma si, meglio se vieni giovedì, è il nostro mesiversario'. Eppure la bottiglia la comprai lo stesso. Non avevo capito un cazzo, come al solito.
Non tutte le situazioni o gli oggetti attivano ricordi immediati. Come se il nostro cervello funzionasse ad intermittenza. Quel bambino non esiste più da tanto tempo: in mezzo, troppa cattiveria, troppo odio, troppe colpe date agli altri, troope persone allontanate e non capite. Troppi ricordi vista da una sola prospettiva. Troppi errori.
Non ha senso dire: 'voglio tornare ad essere quel bambino' eccetera. I tempi, le responsabilità te lo impediscono. Però un po' quella ingenuità non guasterebbe. Non ho più voglia di riguardare certi oggetti, o situazioni, e pensare qualcosa del tipo 'vaffanculo'. Non ho più voglia di guastarmi le giornate ed intristirmi. Non mi voglio più mettere davanti a tutto. Forse questa è una delle pagine più difficile da aggiungere e riempire.

giovedì 25 novembre 2010

Altà fedeltà

Da quando mi vedo costretto ad alzarmi alle 7.15 del mattino (si, è incredibile: le 7 del mattino esistono, ora ne ho le prove), mi sono reso conto che il mio cervello, in quel lasso di tempo tra la sveglia e l'attimo in cui infilo la chiave nella toppa, se na va un po' per i cazzi suoi. Stamattina in regia hanno deciso che oggi era il giorno giusto per cominciare un nuovo esperimento: leggere un libro in metro. Mi sono così sorpreso ad infilare la copia di Alta fedeltà nella mia già traboccante borsa. Mentre mi incammino verso la metro, ancora provato dall'accoppiata familiare di Moretti gelata-panzerotto untissimo ingollati ieri sera dal Pres, mi domando chi cazzo me l'abbia fatto fare. Sul treno, così come su qualsiasi mezzo di trasporto, mi sono sempre scoperto capace di fare solo due cose: ascoltare musica e leggere sì, ma i quotidiani (principalmente la Gazza; segue a ruota il Corriere). Leggere un romanzo presuppone una buona dose di concentrazione e io becco sempre bambini ruomorosi o gente alquanto loquace al cellulare. Però ormai è deciso. Le spiegazioni credo siano due. Uno: cambiare abitudini non fa male. Due: il mio lettore mp3 sta esaurendo la carica. Cioè, mentre andavo in bagno, ingrassavo il mio panino mattutino con della marmellata e mi vestivo, il mio cervello ha elaborato questa cosa: che bisognava creare una valida alternativa al lettore quasi scarico. Considerato che un uomo non riesce a fare due cose contemporaneamente (e che io sono un uomo, almeno sessualmente parlando), questa per me è una bella conquista. Non solo, ma le mie sinapsi mi fanno uscire di casa qualche minuto prima del solito, così magari evito il treno intasato delle 8.15 e posso addirittura sedermi. Leggere in piedi sarebbe stato chiedere troppo, sarei potuto svenire per l'immane sforzo. Ovviamente il treno è intasato, così le cuffie del lettore si muovono da sole verso le mie orecchie.
Esattamente due mesi fa eravamo assieme, in un placido sabato mattina. Nonostante mi avessi appena rivelato i tuoi dubbi, ce ne stavamo lì abbracciati. Chissà cosa mi ero messo in testa.
Siamo già al Duomo e come previsto la metro si svuota. Mi fiondo su un posto libero, bruciando sul tempo un tizio. Caccio fuori il libro, rassegnato all'idea che non riuscirò a leggere più di una pagina. O che mi distrarrò e finirò a Sesto Rondò. Invece mi stupisco e riesco a leggerne cinque, di pagine, azzeccando la fermata giusta.
Sono queste le cose che ti fanno capire che ci stai provando di brutto.

mercoledì 24 novembre 2010

Dice che cominciare con un funerale porta bene

Per la terza volta nella mia vita, mi ritrovo ad aprire un blog. I primi due, obiettivamente, facevano ampiamente cagare. Come noterete, non risparmierò i francesismi barocchi. Dunque, sui questi primi due tentativi ho speso anche del tempo, ma poi vedevo che le cose non giravano. Spendevo tempo a vuoto. I post erano scollegati l'uno dall'altro, mancava coerenza. Quest'ultimo sembra promettere benino. Sarà perchè chi scrive (adoro parlare di me in terza persona, talvolta) sta attraversando un periodo di passaggio. Nuova città, nuova vita, ma stessi sogni. Quel passaggio che molti chiamano 'morte', nel senso di rinnovo, di abbandono di una vecchia vita per una nuova. Migliore? Speriamo. Quando cominciai a lavorare per il Carlino, come primo articolo mi fu assegnata la cronaca di un funerale. Davanti alla mia faccia poco convinta e buttando un occhio alla mia mano a conchiglia sul pacco, il mio capo mi diede ampie rassicurazioni: 'va là, che iniziare con un funerale porta bene'. All'epoca non rimasi molto convinto, ma da quel giorno di metà gennaio sono passati tanti giorni e tante cose sono successe. Non voglio voltare pagina, perchè l'ho fatto già tante volte e dopo un po' il libro finisce. Voglio aggiungere nuove pagine. Anche in formato elettronico.